Viaggio tra le Ville Vesuviane
del diciottesimo secolo
Cenni storici
La parte di territorio vesuviano oggi occupata dal Comune di San Giorgio a Cremano, rientra nella linea di costa che si è portati a pensare fosse già abitata in epoca romana.
Tale ipotesi trova conferma anche dalle tesi che attribuiscono l’etimologia dei nomi dati ad alcuni luoghi dell’area vesuviana alla presenza di personaggi vissuti qui in epoca romana: Portici dovrebbe il suo nome, secondo alcuni, a Quinto Porzio Aquila, famoso personaggio romano che avrebbe soggiornato qui; San Giovanni a Teduccio, dovrebbe il proprio strano suffisso alla presenza della villa di Teodocia, figlia dell’imperatore Teodosio, ciò si rileva da una lapide ritrovata durante uno scavo a San Giovanni a Teduccio stesso.
Com’è noto la tradizione della villa suburbana nei dintorni di Napoli è un’abitudine antica, del resto non è difficile pensare che gli antichi romani potessero essere attratti da quelle terre così fertili della Campania felix e dalla speciale ambientazione geografica.
Questa era data dalla rigogliosa vegetazione, dal nitido colore verde intenso posto tra le acque azzurre del golfo, così calme e rassicuranti e il minaccioso vulcano, simbolo di morte e distruzione ma in grado di creare sorprendenti giochi di luce e di colore con le sue fuoriuscite di materiale, specialmente quando si stagliavano nel cielo notturno.
D’altro canto la fertilità della costa vesuviana più che la sua vicinanza alla città è stata un elemento determinante del ricostituirsi degli insediamenti sempre distrutti dalle eruzioni che si sono ripetute nei secoli come veri punti di discontinuità nella storia dell’area vesuviana.
Non stupisce, in tal senso, l’aver rilevato la presenza di ville isolate ben prima del settecento, pur se con uno spiccato carattere di azienda agricola; il concetto di ville di delizie, infatti, sarà caratteristica specifica del settecento, epoca in cui la spinta all’edificazione nasce soprattutto dalla spettacolarità della zona.
Gli architetti del XVIII secolo, infatti, furono così affascinati dalla presenza del vulcano e del mare e del contrastante rinvio alla vita e alla morte, da far diventare l’asse monte-valle il principio informativo della tipologia insediativa delle ville.
Ciò che accadde fino all’anno mille è difficile dirlo con certezza, e pochi accenni si possono fare alle fasi successive, dati gli scarsi documenti ritrovati, i quali in gran parte indicano terreni ubicati nella zona, appartenuti a diverse chiese di Napoli.
Il susseguirsi delle eruzioni rendeva poco appetibili queste terre ubicate fuori dalle mura della città ed i cui abitanti, isolati ed abbandonati un po’ a se stessi, dovevano cavarsela da soli contro gli uomini e le forze della natura.
Non stupisce in tal senso che i casali vesuviani avessero potuto riscattare verso la fine del XV secolo la loro indipendenza divenendo delle “Università” o municipi autonomi anche nella gestione della giustizia.
Probabilmente questa spiccata autonomia, che avrà caratterizzato sempre gli abitanti di queste aree, rappresentava una forte molla a ritornare in questi luoghi ogni qualvolta le incursioni di Saraceni oppure dei nemici del regno imperversavano in queste terre, quando non era il Vesuvio a distruggere caseggiati e terreni.
Il già difficile popolamento di queste zone fu spezzato, ancora una volta, dalla terribile eruzione del 1631. Durante questa eruzione, che si ricorda come la più ampia per quantità di materiale fuoriuscito, i torrenti di lava distrussero quasi completamente tutti i centri abitati dell’area vesuviana. Il fitto bosco che la ricopriva, iniziando dalle pendici del vulcano e giungendo fino a lambire la costa, che si era mantenuto intatto fino all’eruzione del 1631, fu distrutto e i terreni resi impraticabili in quanto ingombri in massima parte dal materiale fuoriuscito dall’eruzione.
In questa occasione la lava variò i percorsi degli alvei naturali e, cosa rara, giunse fino al mare alterando la linea di costa e modificando la geografia e la toponomastica di questi luoghi: un noto esempio è rappresentato dal “largo dell’Arso”, che prende il nome dal punto in cui la lava incandescente arrivò in mare.
La zona fino ad allora era detta “pietra bianca”, nome che Bernardino Martirano aveva scelto anche per la sua Villa di Leucopetra (pietra bianca in greco) fatta costruire nel XVI secolo e dove ospitò, tra gli altri, l’imperatore Carlo V di ritorno dall’impresa di Tunisi.
E’ curioso osservare che l’attuale forma triangolare del Largo dell’Arso è ancora quella dovuta al grande blocco di lava che ingombrava l’area dopo l’eruzione del 1631.
La popolazione tornò nella zona distrutta riedificando le case e riprendendo la coltivazione dei terreni.
Contemporaneamente il fenomeno delle Ville si sviluppa sempre più e già nel XVII secolo sorgono molte costruzioni isolate e lontane dalla costa; luoghi di meditazione piuttosto che destinati alla vita mondana.
Queste costruzioni hanno uno spiccato carattere di aziende agricole, come racconta il De Seta, complete di “cella vinaria”, “piscina”, “torcularium”, la cui edificazione si infittisce anche in relazione all’allontanamento sempre più massiccio della nobiltà dalle campagne verso la città di Napoli che, iniziato nel viceregno per la volontà accentratrice di Don Pedro da Toledo, culminerà nel XVIII secolo, contribuendo, tra l’altro, alla crisi delle campagne del Mezzogiorno.
Le Ville Vesuviane del settecento rappresentano una produzione architettonica che ebbe la fortuna di essere realizzata sotto il regno di Carlo III di Borbone, a giusta ragione, giudicato uno tra i regnanti più all’avanguardia del secolo dei lumi.
Nel 1734, con la salita al trono di Carlo I del Regno delle Due Sicilie, Napoli, dopo quasi due secoli di viceregno, raggiunge l’autonomia, e questo fu da sprone per tutti gli intellettuali nonché uomini di scienza e di cultura napoletani, creando le basi per lo sviluppo del pensiero filosofico e di tutte le arti in genere.
In campo architettonico la felice scelta degli esecutori da parte di questo re illuminato stimolò la produzione edilizia, dando un impulso notevole tanto alla realizzazione di innumerevoli palazzi nobili quanto all’esecuzione di opere monumentali; tra le quali un esempio eloquente è la Reggia di Caserta.
Il barocco napoletano, che si sviluppa alla corte di Carlo di Borbone, sempre attento agli sviluppi dell’arte contemporanea, si esprime attraverso le opere degli architetti del re; tra questi spiccano autentici talenti quali Fuga, Sanfelice, Vaccaro, Gioffredo fino a Vanvitelli, con il quale gli stucchi barocchi si semplificheranno nella sua ricerca dell’essenzialità, caratteristica principale dello stile neoclassico.
Tra le opere di maggior rilievo dell’epoca, ben si colloca la Reggia di Portici e le Ville Vesuviane del famoso “Miglio d’Oro”, dove lo stile barocco trova la sua espressione più fantasiosa e leggera, in una particolare espressione del rococò.
Viaggio tra le ville: